Newsletter n. 19 / Novembre 2021
a cura dello Studio Legale Tributario Torcello in collaborazione con Confindustria Chieti Pescara
Questa newsletter porta la firma dell’Avvocato Giovanna BRATTI e dell’Avvocato Davide TORCELLO
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Con particolare riferimento all’ambito dei reati tributari, la sopravvenuta insorgenza di una crisi di liquidità da parte dell’azienda può, infatti, assumere connotati penali. Ciò in quanto l’assenza (o la difficoltà nel reperimento) di risorse economiche ha in alcuni casi portato gli imprenditori a venir meno alle proprie obbligazioni tributarie; mediante l’omesso versamento delle imposte dovute.
Sul punto, occorre richiamare l’art. 10 ter del D. Lgs. n. 74/2000; il quale punisce la condotta di colui che omette il versamento dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale (entro il termine previsto per il pagamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo). Il tutto per un ammontare superiore ad un importo di €250.000,00 (cd. soglia di punibilità); in relazione ad ogni anno di imposta.
Ai fini della configurabilità del reato è sufficiente il realizzarsi della condotta omissiva da parte dell’imprenditore; non richiedendosi, in capo a quest’ultimo, la consapevolezza specifica di evadere e/o di contravvenire, nei fatti, al precetto penale.
A tale “rigorismo” ha fatto da contraltare la volontà del legislatore, il quale, conscio della generale crisi economica (che affligge ormai da un decennio il nostro Paese), ha apportato modifiche alla disciplina del predetto reato omissivo (in un’ottica maggiormente favorevole al contribuente).
In particolare, mediante il D. Lgs. n. 158/2015, da un lato, è stato elevata quantitativamente la cd. soglia di punibilità del reato (ex art. 10 ter del D. Lgs. n. 74/2000); e, dall’altro lato, è stato prevista, quale causa di non punibilità (ex art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000), la possibilità in capo al reo di provvedere al pagamento dell’intero debito tributario (gravato da interessi e sanzioni) fino all’apertura del dibattimento (così concedendo un maggior “respiro” ai contribuenti inadempienti).
A tal proposito, occorre richiamare l’orientamento della giurisprudenza di legittimità; la quale, in tempi recenti, si è espressa sul rapporto fra il reato di omesso versamento IVA e la possibilità, per l’autore del fatto, di invocare la crisi aziendale quale causa di esclusione della propria colpevolezza.
La Suprema Corte di Cassazione, nella sentenza n. 38177 del 26 ottobre u.s., sposando un atteggiamento maggiormente “severo”, ha ravvisato la responsabilità penale nella condotta dell’imprenditore che aveva omesso di accantonare le somme dovute a titolo di IVA; adducendo, quale causa di forza maggiore ex art. 6, c. 5, del D. Lgs. 472/1997, una (non meglio specificata) crisi di liquidità aziendale, determinata dalla revoca dei fidi bancari da parte degli istituti di credito.
Tale ricostruzione non è stata accolta dai Giudici di legittimità; i quali, nel ridefinire i confini applicativi della causa di forza maggiore in ambito penale-tributario, hanno ritenuto sussistente la causa di non punibilità ove vi sia l’assoluta impossibilità (e non la mera difficolta), per l’imprenditore, di adempiere alle proprie obbligazioni tributarie.
Ciò in quanto la forza maggiore deve escludersi laddove:
Ne deriva che, ai fini dell’applicabilità di tale causa di non punibilità, l’imputato dovrà fornire la prova, nel processo penale, circa l’impossibilità di reperire (per cause indipendenti dalla propria volontà e non imputabili allo stesso) le risorse necessarie a consentire a quest’ultimo il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie. Ciò sino a porre in essere tutte le possibili azioni (anche in danno al proprio patrimonio personale); dirette a consentire il recupero della liquidità.
Secondo la Suprema Corte, le difficoltà economiche derivanti dalla revoca dei fidi bancari, dunque, sono da ricondursi all’alveo del normale rischio di impresa. Con ciò considerando che il contribuente è in ogni caso tenuto ad accantonare l’IVA già riscossa nell’ambito delle proprie operazioni commerciali (in modo da poter adempiere tempestivamente alla relativa obbligazione tributaria).
Diviene, dunque, sempre più rischioso per l’imputato tentare di giustificare le proprie omissioni tributarie; appellandosi, genericamente, alla sussistenza di una crisi aziendale. Ciò in quanto il dissesto economico societario, lungi dall’escludere la responsabilità penale dell’autore del reato, non dovrebbe esser affrontato dall’imprenditore mediante la violazione dei propri obblighi tributari.
Avv. Giovanna BRATTI
Avv. Davide TORCELLO
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