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Newsletter n. 22 / Dicembre 2021
a cura dello Studio Legale Tributario Torcello in collaborazione con Confindustria Chieti Pescara
Questa newsletter porta la firma dell’Avvocato Davide TORCELLO e dell’Avvocato Giovanna BRATTI.
Il ruolo ed il “peso probatorio” dell’accertamento tributario nel processo penale (soprattutto con riferimento ai reati tributari) rappresenta, da sempre, uno dei temi più dibattuti nell’ambito del rapporto fra il giudizio tributario e quello penale.
La complessità di tale rapporto deriva dal fatto che la “teoria” parrebbe, talvolta, prescindere dalla “prassi”. Ciò in quanto, nonostante astrattamente si teorizza un principio di autonomia fra i due tipi di procedimenti, nella realtà dei fatti sembra che non sia possibile scindere, del tutto, le due sfere di accertamento (quella tributario e quella penale; che, a volte, paiono commistionarsi reciprocamente).
Gli atti “provenienti” dal procedimento tributario, infatti, possono essere utilizzati in sede penale; ciò con particolare riferimento alla responsabilità dell’imprenditore in tema di reati tributari.
In tale ottica, occorre richiamare il cd. principio del doppio binario; il quale, nel regolare il predetto rapporto tra il procedimento penale e quello tributario (argomento già ampiamente trattato nel nostro precedente contributo sulla Newsletter di Confindustria Chieti Pescara del 7 ottobre u.s.; al quale si rimanda per brevità), sembrerebbe sancirne l’indipendenza fra le due tipologie di procedimenti.
Ciò determina che, a fronte di un medesimo fatto storico (astrattamente foriero, al contempo, di un illecito tributario e di un illecito penale) compiuto da un imputato/contribuente, non è prevista la sospensione automatica del processo tributario (in attesa della definizione del giudizio penale).
La funzione “garantista” di tale principio, tuttavia, parrebbe venir meno a fronte di determinati accertamenti condotti in sede tributaria; i quali possono fungere da elemento di prova nel processo penale. Eventualità che dovrebbe essere calmierata, nella prassi, stante la peculiarità dell’istruttoria penale rispetto a quella tributaria; dato che la prova, nel processo penale, si “forma” in sede di dibattimento (nel contradditorio tra le parti).
Ne deriva la necessità di individuare e di circoscrivere le condizioni in presenza delle quali il Giudice penale possa fondare la propria decisione sugli atti emersi nell’ambito dell’accertamento tributario.
Basti pensare al cd. PVC (processo verbale di constatazione): documento consegnato all’esito di una verifica fiscale presso la sede del contribuente; connessa ad un’attività di controllo svolta dagli uffici dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza. Tale documento indica le eventuali violazioni riscontrate e gli addebiti contestati al contribuente; suddivisi per tipologia di imposta, per annualità nonché per “argomento” fiscale.
Ebbene, il cd. PVC può essere acquisito, ex art. 234 c.p.p., nel processo penale quale elemento probatorio (avente la natura di documento amministrativo – extraprocessuale – “ricognitivo”); prova poi liberamente apprezzabile dal Giudice penale ai fini dell’accertamento del reato contestato.
Anche le dichiarazioni rese dal contribuente al Funzionario, in occasione di tali verifiche fiscali, potrebbero essere utilizzate in sede penale; nel rispetto del disposto di cui all’art. 220 disp. att. c.p.p..
Laddove nel corso di tali attività di verifica emergessero indizi di reato a carico del contribuente, infatti, gli organi di controllo dovrebbero compiere gli atti necessari al fine di garantire la rituale assunzione delle fonti di prova. Il tutto nell’osservanza della normativa processual – penalistica; a pena di inutilizzabilità, in sede di giudizio penale, dell’elemento probatorio irritualmente acquisito.
Altro aspetto, lungamente dibattuto in giurisprudenza, riguarda la testimonianza deposta dal funzionario (che ha partecipato alle operazioni di verifica fiscale) nell’istruttoria penale dibattimentale; avente ad oggetto le dichiarazioni rese dal contribuente nel corso dell’attività ispettiva (e riguardante ad esempio, l’attività dell’impresa o l’andamento degli affari della società).
Tale sistema di garanzia (ad appannaggio dell’imputato/contribuente), tuttavia, non sembrerebbe operare sempre nella prassi.
Accade spesso, infatti, che le accuse di colpevolezza nei confronti del soggetto agente vengano formulate a conclusione delle attività ispettive tributarie (o sulla base delle stesse).
In tali ipotesi sembrerebbe essere minata l’indipendenza fra i due giudizi (di cui al noto principio del doppio binario): gli accertamenti tributari potrebbero essere utilizzati quali “base di partenza” (oltre che per la costruzione dell’impianto accusatorio nei confronti dell’imputato) per condurre l’istruttoria dibattimentale (sia pure senza effetti vincolanti per il Giudice penale).
Con specifico riferimento all’ambito dei reati tributari, è doveroso compiere un’ultima osservazione.
La recente riforma penale, di cui alla L. n. 134/2021 ha introdotto il nuovo art. 161 bis c.p.. Per il tramite di tale disposizione è stata prevista la “cessazione del corso della prescrizione” (anche in relazione ai reati economici) dalla pronuncia della sentenza di primo grado. Con ciò abrogando il precedente regime di cui alla L. n. 3/2019 (entrata in vigore dal 1 gennaio 2020); il quale stabiliva la sospensione (e non la cessazione) della prescrizione dopo l’emissione della sentenza di primo grado.
L’unico dubbio concerne ancora il momento di entrata in vigore della suddetta riforma; dato che sul punto nulla è stato specificamente previsto dal Legislatore.
A tal proposito, l’Ufficio del Massimario della Cassazione ha chiarito che la suddetta previsione, stante la continuità normativa rispetto all’abrogata disposizione normativa concernente la sospensione della prescrizione, dovrebbe applicarsi ai reati commessi dal 1 gennaio 2020 (e non dall’entrata in vigore della suddetta riforma: il 19 ottobre 2021).
Diversamente, si andrebbe a pregiudicare la posizione dei contribuenti imputati per un illecito tributario commesso nell’anno 2020; in quanto andrebbero ricomprese tutte le violazioni relative all’anno di imposta 2019. Ciò ponendosi in netto contrasto con il cd. principio del “favor rei”.
Avvocato Davide TORCELLO
Avvocato Giovanna BRATTI
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