Newsletter n. 12 / Giugno 2021
a cura dello Studio Legale Tributario Torcello in collaborazione con Confindustria Chieti Pescara
Questa newsletter porta la firma dell’Avvocato Giovanna BRATTI e dell’Avvocato Davide TORCELLO
Scarica gratuitamente l’articolo in formato PDF.
Spetta al giudice penale il compito di quantificare l’imposta evasa “in autonomia” rispetto all’accertamento tributario, anche tramite il riconoscimento dei costi “provati” o “presumibili”.
In tema di reati tributari, appare cruciale definire gli ambiti di operatività (ed i relativi confini) dell’accertamento penale rispetto a quello tributario; dato che la notizia di reato, nella prassi, scaturisce dalle risultanze delle verifiche fiscali effettuate (precedentemente) dagli organi tributari.
Ciò con particolare riferimento ai reati omissivi e dichiarativi per i quali occorre individuare le modalità di superamento della cd. soglia di punibilità (e la relativa quantificazione dell’imposta evasa) di cui al D. Lgs. n. 74/2000; al fine di determinare la sfera del “penalmente rilevante”.
Si tratta di un limite “quantitativo” superato il quale la condotta dell’imprenditore / contribuente diventa perseguibile; rappresentando, dunque, tale limite un elemento costitutivo del reato.
Nella prassi, le Procure destinatarie dell’informativa da reato (avente “radici tributarie”) eserciterebbero l’azione penale sulla scorta delle risultanze dell’accertamento fiscale operato dall’Agenzia delle Entrate o del controllo fiscale condotto dalla Guardia di Finanza. Così prescindendo da una propria ed autonoma valutazione della condotta del contribuente; valutazione che dovrebbe, di contro, caratterizzare l’instaurazione del processo penale.
Pare assistersi, frequentemente, all’assenza di integrazioni probatorie da parte dei Pubblici Ministeri; i quali, senza disporre ulteriori accertamenti suppletivi o la nomina di un consulente tecnico contabile (al fine di verificare l’attendibilità dell’operato dell’Ufficio) tenderebbero ad acquisire (anche acriticamente) il contenuto delle segnalazioni trasmesse dagli organi tributari.
Il tutto basandosi su mere interrogazioni delle banche dati o delle anagrafi tributarie; senza ulteriori (e doverosi) approfondimenti.
Eppure, non si può sottacere la diversità delle dinamiche (e delle finalità) sottese all’accertamento penale ed a quello tributario.
Le verifiche fiscali, infatti, prescindono da logiche aziendalistiche; le quali, invece, informando non di rado la condotta del contribuente, dovrebbero trovare adeguata considerazione in ambito penale. La sfera soggettiva (in termini di intenzionalità o di colpa nella condotta) del contribuente, infatti, assume una rilevanza determinante ai fini dell’eventuale condanna dell’imputato; sfera che sfugge, di contro, alle disposizioni maggiormente “formalistiche” della normativa tributaria.
Tali circostanze si riscontrano, nello specifico, in relazione alle fattispecie delittuose in ambito dichiarativo e/o di omesso versamento di cui al D. Lgs. n. 74/2000; con particolare riferimento alla determinazione dell’imposta evasa.
Quest’ultima rappresenta la differenza tra l’imposta “effettivamente” dovuta e quella indicata nella dichiarazione dal contribuente; o, in caso di omessa dichiarazione, l’intera imposta al netto di quanto versato dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o, in ogni caso, di quanto pagato in relazione a detta imposta (prima della scadenza del relativo termine per la dichiarazione).
In tale ottica, diversamente da quanto accade in ambito tributario, il giudice penale dovrebbe tener conto anche dei costi non contabilizzati (provati o presunti) sulla base delle allegazioni fattuali del contribuente (da cui desumere la sussistenza dei medesimi costi o quantomeno presumerne ragionevolmente l’esistenza). Non si potrebbe negare, infatti, che il conseguimento di determinati ricavi derivi dal sostenimento, a monte, di corrispettivi costi; considerazione non “accettabile” dalle disposizioni tributarie che, privilegiando un approccio formale, parrebbero ammettere, in deduzione, solo oneri e spese risultanti da elementi precisi e certi.
Si dovrebbe invece considerare il risultato economico realmente conseguito dal contribuente / imputato; frutto della contrapposizione dei ricavi e dei costi d’esercizio “effettivamente” sostenuti e deducibili nella determinazione del reddito.
Sul punto, è doveroso richiamare il cd. principio del doppio binario che regola i rapporti tra procedimento penale e quello tributario; il quale sancisce la completa autonomia dei due processi. Ciò comporta, da un lato, che il processo tributario non può essere sospeso in pendenza del procedimento penale, anche se quest’ultimo ha oggetto i medesimi fatti; dall’altro che la sentenza resa nell’ambito del giudizio tributario non pone alcun vincolo al giudice penale.
Tale principio, ormai cristallizzato nella giurisprudenza di legittimità, è stato ribadito, da ultimo, nella sentenza n. 16865/2021; con cui la Corte di Cassazione ha statuito che il giudice penale, dopo aver valutato le risultanze tributarie (derivanti dall’accertamento effettuato, in ambito amministrativo, dall’Amministrazione finanziaria) nonché le allegazioni documentali prodotte dall’imputato, può individuare un quantum dell’imposta evasa differente da quella indicata nell’avviso di accertamento. Con ciò determinando, autonomamente, la soglia di punibilità del fatto e l’ambito (quantitativo) della condotta penalmente rilevante; anche senza tener conto del contenuto degli avvisi di accertamento (o di altri atti impoesattivi) notificati al contribuente / imputato.
Il giudice penale, infatti, è chiamato a fornire un’adeguata motivazione dell’iter logico- argomentativo sviluppato al fine di individuare, da un lato, l’imposta rilevante ai fini del superamento della predetta soglia di punibilità; dall’altro lato, la sussistenza del dolo specifico (ossia la volontà e la coscienza, da parte del contribuente, di non pagare le imposte dovute all’Erario). Con ciò anche disattendo, se del caso, l’accertamento cristalizzato in ambito tributario.
L’auspicio, dunque, è quello di tradurre, in pratica, i moniti della giurisprudenza di legittimità; giungendo anche nella prassi ad una “autonomia” effettiva fra l’accertamento tributario e quello penale.
Avv. Giovanna BRATTI
Avv. Davide TORCELLO
Scarica gratuitamente l’articolo in formato PDF.