Newsletter, n. 32 / NOVEMBRE 2020, di Confindustria CH-PE a cura dello Studio Legale Tributario Torcello.
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L’Agenzia delle Entrate, recentemente, è tornata ad esprimersi in tema di trattamento fiscale della cessione del ramo d’azienda; ciò per il tramite della pubblicazione, sul proprio sito internet, della “Risposta ad interpello” n. 546 del 12.11 u.s., promosso da una società operante nel settore della produzione e del commercio all’ingrosso di profumi e cosmetici.
Secondo quanto ricostruito nel dettaglio dall’istante, l’operazione di cessione oggetto di attenzione risultava essere regolata da un “Accordo Quadro” (con il quale la cedente si era impegnata ad effettuare dalla cessionaria vari acquisti; tra i quali quelli di alcuni marchi, di taluni diritti di proprietà intellettuale e del magazzino) e, per l’appunto, dal “Contratto di cessione di marchi e di diritti IP, strumentali alla cessione esclusiva dei marchi” nonchè dal “Contratto di cessione di Magazzino”.
In sintesi, la società istante domandava all’Amministrazione finanziaria se l’operazione in questione fosse qualificabile, ai fini fiscali, come una cessione di singoli beni (imponibile ai fini IVA ex D.P.R. 633/1972); ovvero se tale operazione configurasse una cessione di ramo d’azienda (esclusa dall’ambito di applicazione dell’IVA ex art. 2 c. 3 lett. b del D.P.R. 633/1972; assoggettata ad imposta di registro in misura proporzionale secondo il combinato disposto dell’art. 2 del D.P.R. n. 131/1986 e dell’ art. 2 c. 1 dell’allegata Tariffa parte I).
L’A.E. muovendo dalla riproposizione della propria concezione di “azienda”, intesa in senso ampio (comprensiva anche delle cessioni di complessi aziendali relativi a singoli rami d’impresa), giungeva a richiamare la sentenza n. 5087/2014 della Corte Suprema di Cassazione a SS.UU.; secondo la quale la cessione d’azienda deve interessare “un insieme organicamente finalizzato ex ante all’esercizio dell’attività d’impresa, di per sé, idoneo a consentire l’inizio o la prosecuzione di quella determinata attività”.
Da qui muoveva il ragionamento dell’A.E. sviluppato, poi, nella “Risposta ad interpello” in esame; in forza del quale, se non è necessaria la cessione di tutti gli elementi che ordinariamente costituiscono l’azienda, l’insieme di quelli oggetto di cessione deve comunque mantenere “un residuo di organizzazione che ne dimostri l’attitudine all’esercizio dell’impresa, sia pure mediante la successiva integrazione da parte del cessionario”.
Secondo quanto chiarito dall’A.E. nell’occasione, il nucleo basilare in grado di determinare la sussistenza di un’azienda comprende non solo il complesso dei beni, ma anche i legami (giuridici e di fatto) tra i beni medesimi; nonché la destinazione del loro insieme funzionalmente considerato.
A tal proposito, alla luce del contenuto dei contratti indicati nelle righe che precedono, l’Amministrazione finanziaria riteneva che l’“insieme dei Marchi, le Formule, i Disegni, i Domini e tutti i diritti di proprietà intellettuale connessi, insieme al Magazzino, integrasse di fatto, una struttura organizzativa aziendale, in quanto trattasi di una serie di elementi che, combinati tra loro, possono prefigurare un’organizzazione potenzialmente idonea, nel suo complesso, allo svolgimento di un’attività economica a sé stante”.
Infatti tali beni – anche se dotati di un proprio valore economico, ove singolarmente presi in considerazione – meritavano una valutazione unitaria; ciò nell’ottica della configurazione di una cessione di ramo di azienda.
Influiva, in quest’ottica, il fatto che la cessione in parola fosse avvenuta in maniera contestuale; emergendo una preordinazione rispetto all’obiettivo – cardine ed agli scopi strategici della società acquirente.
Alla luce di tali considerazioni, nonché della sussistenza degli elementi fattuali illustrati e provati documentalmente dalla società istante, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto la fattispecie in esame configurabile alla stregua di una cessione di ramo d’azienda (e non di una cessione di singoli beni); e, in quanto tale, esclusa dal campo di applicazione dell’IVA ai sensi dell’articolo 2, comma 3, lettera b), del D.P.R. n. 633 del 1972.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, di conseguenza, all’operazione prospettata deve essere applicata l’imposta di registro in misura proporzionale (ex art. 23 del D.P.R. n. 131/1986).
Merita un cenno anche il fatto che l’A.E. abbia richiamato l’orientamento espresso in materia dalla CGUE (sentenza C-497/01 del 27 novembre 2003), quando la stessa Corte aveva chiarito che la nozione di “trasferimento (…) di una universalità totale o parziale di beni” (anche se non oggetto di specifica definizione, a livello eurounitario, in sede di normativa IVA) si riferisce a qualsivoglia trasferimento di un’azienda o di una parte autonoma di quest’ultima; compresi gli elementi materiali e immateriali che insieme costituiscono un’impresa o una parte di impresa idonea a svolgere un’attività economica autonoma.
In quest’ottica, risultava in ogni modo necessario che il cessionario avesse effettivamente intenzione di gestire l’azienda oggetto di cessione (o un ramo di essa); senza essere in realtà animato da intenti di dismissione, a stretto giro, del complesso dei beni interessati.
Rilevante ai fini della applicazione dell’IVA, secondo l’interpretazione della CGUE riportata dall’A.E. nella “Risposta ad interpello” che ci occupa, è pertanto la possibilità di proseguire l’attività d’impresa da parte del cessionario grazie ad un insieme di beni in grado di consentire lo svolgimento di un’attività economica “autonoma e attuale”; sempre dotata di una propria identità funzionale anche nella fase successiva al trasferimento di cui si ragiona.
Dott.ssa Ida Salerno Avv. Davide Torcello
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