L’intento di unificare le due imposte locali, Imu e Tasi, rappresenta uno dei (pochi) punti di contatto tra il nuovo Governo cd. “Conte bis” e quello precedente di matrice pentastellata/leghista.
È stato il Vice Ministro dell’Economia e delle Finanze, Antonio Misiani, a rendere nota, nelle scorse settimane, l’intenzione del nuovo Esecutivo di prevedere una disciplina comune dei due tributi locali.
L’obiettivo è quello di semplificare una normativa (nazionale e regolamentare) resa intricata dal progressivo sovrapporsi di interventi estemporanei e disorganici; nonché caratterizzata dal moltiplicarsi di aliquote, esenzioni e regimi agevolativi.
Ciò ha portato ad una disciplina che appare oggi assolutamente intricata (anche per gli stessi Enti locali impositori); il tutto a discapito dei contribuenti che (oltre a subire, sovente, maggiorazioni di aliquote da parte dei Comuni) si trovano a dover “fare i conti” con un quadro normativo complesso.
Un punto di partenza per il nuovo Governo potrebbe essere rappresentato dalla proposta di legge avanzata sotto l’egida della precedente maggioranza giallo verde dal deputato Alberto Gusmeroli; la quale risulta ancora al vaglio della Commissione Finanze della Camera per le verifiche e le (eventuali) correzioni.
La linea operativa del nuovo Governo sul punto, dunque, pare non discostarsi particolarmente rispetto al precedente progetto di semplificazione della normativa e della riscossione locali.
Secondo quanto affermato dal Vice Ministro, non si riscontrerebbero ostacoli (anche sotto l’aspetto sostanziale) all’unificazione normativa dei due tributi.
Ciò renderebbe, di fatto, relativamente agevole disciplinare in maniera congiunta Imu e Tasi; evitando così al contribuente di incorrere in un duplice pagamento ed in molteplici adempimenti tributari.
In ogni modo, il fronte delle novità relative alla fiscalità locale non riguarda esclusivamente la normativa che verrà; interessando, infatti, anche il panorama della giurisprudenza.
In tema di Tari, ad esempio, con l’ordinanza n. 22767 del 12 settembre 2019 la Suprema Corte di Cassazione ha censurato l’operato degli Enti locali “inadempienti”; affermando il diritto del contribuente ad una riduzione della tariffa (astrattamente) dovuta.
Secondo quanto si apprende dalla lettura della medesima, l’Amministrazione Comunale risulta responsabile delle irregolarità riscontrate nei servizi di raccolta e di smaltimento dei rifiuti, con conseguente impossibilità di richiedere ai cittadini il pagamento integrale della corrispondente imposta. Ciò indipendentemente dalla “causa” (e dalla prevedibilità della stessa) che ha determinato il disservizio lamentato.
La Cassazione, dopo un’ampia disamina della disciplina normativa contenuta nell’art. 59 c. 4 del D.Lgs n. 507/1993 e del relativo quadro giurisprudenziale, ha stabilito che i contribuenti devono beneficiare di una diminuzione del tributo nella misura del 40% nel caso in cui il servizio di raccolta non sia stato svolto nella zona di residenza del contribuente o sia avvenuto in violazione delle prescrizioni regolamentari.
Del resto, la normativa in tema di Tari ha compiutamente esteso l’ambito applicativo della predetta disciplina.
L’art. 1 cc. 656-657 della L. n. 147/2013 (Legge di Stabilità 2014), infatti, prevede da un lato il pagamento del 20% del tributo ove il servizio non sia stato effettuato; dall’altro, il versamento di una misura non superiore al 40% nelle zone in cui la raccolta non sia stata svolta (da parametrare in base alla distanza dal più vicino punto di raccolta).
Ne deriva che il Regolamento Comunale che escluda o limiti il diritto alla riduzione della Tari (o Tarsu) al verificarsi di determinate condizioni, deve essere disapplicato.
L’accertata interruzione del servizio di raccolta o smaltimento dei rifiuti da parte dell’Ente è, di per sé, sufficiente a fondare il diritto del contribuente a non corrispondere integralmente l’imposta; non occorre indagare, infatti, “di chi fosse la colpa” del disservizio.
Altro aspetto cruciale, che la nuova politica fiscale intende realizzare, è rappresentato dalla deducibilità Imu nella misura del 100% sugli immobili strumentali.
Anche in questo caso, nulla di (completamente) nuovo: già la Legge di Bilancio del 2019 aveva innalzato la soglia di deducibilità dal 20% al 40%; soglia ulteriormente incrementata dal Decreto Crescita al 50% con l’auspicio di raggiungere il tetto massimo di deducibilità al 100% a partire dal 2023.
Alla luce del quadro delineato, pare che l’attuale Governo intenda riconsiderare alcune delle prospettive normative già oggetto di attenzione da parte della precedente maggioranza; le quali, è ragionevole ipotizzare, finiranno poi con l’assumere la veste che la nuova maggioranza riterrà.
L’unificazione delle due imposte locali, infatti, appare una delle novità “papabili” nell’ottica di una futura, effettiva attuazione da parte del Governo cd. “Conte bis”.
Ciò nonostante i moniti del Presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, secondo il quale il problema non è rappresentato tanto dalla complessità normativa; quanto, piuttosto, dal “peso fiscale”, che dovrebbe suggerire una riduzione (piuttosto che un’unificazione) delle imposte locali.
Restiamo, dunque, in attesa di conoscere i risvolti pratici di tali vicende; con l’auspicio sincero che le stesse si traducano non solo nella tanto agognata semplificazione, ma (anche e soprattutto) in benefici effettivi per le tasche dei contribuenti.
Avv. Giovanna BRATTI
Avv. Davide TORCELLO
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