In relazione alle ipotesi di dichiarazione infedele, previste dall’art. 4 del D. Lgs. n. 74/2000, si segnala che lo scorso dicembre, con l’adozione della legge di conversione (n. 157 del 19 dicembre 2019) del cd. “Decreto Fiscale” (D.L. n. 124/2019), il sistema sanzionatorio penale tributario ha subito rilevanti modifiche.
Le variazioni intervenute, da un lato, hanno aumentato le pene edittali previste per tale reato tributario; dall’altro, hanno comportato una diminuzione della soglia di punibilità dello stesso.
L’infedele dichiarazione, come anticipato, è prevista dall’art. 4 del D. Lgs. n. 74/2000; secondo il quale incorrono in tale delitto i contribuenti che, nel presentare la dichiarazione annuale dei redditi, indichino elementi attivi inferiori a quelli effettivi o elementi passivi inesistenti, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto.
Soggetto attivo del reato può essere chiunque, non essendo richiesta una specifica qualifica.
Effettivamente, la prescrizione di cui in parola si sostanzia nella punibilità del soggetto che ha presentato con dolo specifico la dichiarazione dei redditi o IVA alterata; ciò con l’intento di ottenere il pagamento di minori imposte o il conseguimento di rimborsi o crediti superiori al dovuto.
Pertanto, incombe sull’Autorità requirente l’obbligo di dimostrare che, al momento della presentazione della dichiarazione, il soggetto abbia volutamente inserito dati mendaci per trarne un vantaggio illecito.
Detta condotta, nella formulazione vigente prima degli ultimi due interventi riformatori (ottobre-dicembre 2019), necessitava per la comminazione della pena di una duplice condizione.
In prima istanza, l’imposta evasa doveva superare l’importo di 150.000,00 euro; in seconda battuta, l’ammontare complessivo degli elementi attivi alterati doveva superare il 10% del totale degli elementi attivi dichiarati.
Integrate le suddette previsioni, l’ordinamento sanzionava il soggetto agente con la pena della reclusione da uno a tre anni.
Il D. Lgs. n. 158/2015 aveva infatti operato una modifica in senso diametralmente opposto a quella più recente del 2019, innalzando allora le soglie di punibilità del reato di dichiarazione infedele (da 50.000,00 euro a 150.000,00 euro di imposta evasa; da due milioni di euro a tre milioni di euro di ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti – e non più “fittizi”).
Inalterata invece restava la pena edittale della reclusione, prevista da uno a tre anni.
Oggi, a seguito dei cambiamenti apportati (prima) dal D.L. 124/2019, ulteriormente modificati (poi) dalla L. n. 157/2019, in riferimento al reato di dichiarazione infedele è innanzitutto riscontrabile un aumento della pena edittale rispetto alle previsioni precedentemente in vigore.
Difatti, in sostituzione della previgente misura della pena detentiva, ne viene attualmente indicata una più severa; quantificata, nel minimo, in anni due e, nel massimo, in anni quattro e mesi sei.
In parallelo, per quanto concerne la soglia di punibilità, si assiste ad un abbassamento della stessa.
Di talché, in riferimento all’imposta evasa, rilevano non più le somme superiori a euro 150.000,00, ma quelle eccedenti euro 100.000,00.
Relativamente al computo degli elementi attivi sottratti all’imposizione (anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti), al posto dei tre milioni precedentemente previsti, le somme rilevanti sono oggi quelle superiori ai 2.000.000,00 euro.
E’ bene ricordare, tuttavia, come non tutti gli elementi attivi del reddito non dichiarati risultino essere idonei per la determinazione della soglia di punibilità.
Restano ad esempio esclusi, per espressa previsione di legge, i casi di non corretta classificazione; della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti (rispetto ai quali i criteri concretamente applicati siano stati in precedenza indicati nel bilancio o, in alternativa, in altra documentazione rilevante ai fini fiscali); della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza; della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali.
Da ultimo, l’intervento normativo si sofferma anche sulle cause di non punibilità, basate sulla modalità di calcolo delle singole imposte.
La normativa previgente (ex art. 4 c. 1 ter D. Lgs. n. 74/2000) prevedeva che non potessero dar luogo a fatti punibili le valutazioni “singolarmente” effettuate sulle specifiche imposte, che differissero nella misura inferiore del 10% da quelle corrette.
In forza della revisione normativa effettuata di recente invece, le valutazioni sulle singole imposte devono oggi essere effettuate “cumulativamente”.
Per tale ragione, saranno oggetto di sanzione tutte quelle valutazioni che, complessivamente intese, si discostino di almeno il 10% rispetto a quelle corrette.
Ma non solo.
Il nuovo assetto della cornice edittale consentirà anche l’applicabilità di talune misure coercitive, tra le quali si segnalano gli arresti domiciliari ed il divieto di espatrio.
Ciò in ragione del portato dell’art. 280 c.p.p.; il quale sancisce che dette limitazioni sono irrogabili quando si procede per delitti per i quali sia stabilita, tra le altre, la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni.
Avv.to Davide TORCELLO
Dott.ssa Ida SALERNO
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