Come noto, dal 1° gennaio 2024 i condomini non possono più beneficiare delle percentuali maggiormente vantaggiose del “Superbonus 110%”. Assodato che i blocchi dei cantieri hanno comportato e comporteranno svantaggi pratici innanzitutto per i condòmini (che, concretamente, hanno finito con l’essere costretti a farsi carico dei maggiori costi risultati non agevolati fiscalmente); posto che l’instaurazione di un giudizio (da una parte o dall’altra) comporta, oltre che l’alea ad esso connaturata, anche un notevole dispendio di tempo – soldi – energie, il tentativo di addivenire ad una soluzione stragiudiziale potrebbe risultare quanto mai opportuno. Nel caso di giudizio, invece, toccherà a ciascuna delle parti far valere le proprie ragioni; ciò in un ambito nel quale, ad oggi, non si registra ancora una giurisprudenza consolidata. Il triplice approccio (stragiudiziale / eventualmente con ricorso alle Alternative Dispute Resolutions / eventualmente giudiziale) può essere esteso, in ogni modo, a qualsivoglia controversia in tema di “Superbonus 110%”.
La soluzione preferibile è quella di farsi consigliare da consulenti (a seconda degli aspetti di interesse: ingegneri, architetti, geometri, dottori commercialisti, avvocati) effettivamente preparati in materia; e, soprattutto, badare con estrema attenzione alla normativa di riferimento (data la costante mutevolezza che ha caratterizzato la disciplina del “Superbonus 110%” in questi quattro anni).
E’ facile ipotizzare che i beneficiari del “Superbonus 110%” risulteranno, in quest’ottica, i soggetti più vulnerabili.
Una volta accertate irregolarità legate alla fruizione dei benefici; all’assenza (totale o parziale) ovvero alla perdita dei requisiti di legge, il beneficiario dovrà corrispondere all’Agenzia delle Entrate l’importo relativo alla detrazione non spettante, con interessi e sanzioni tributarie.
La scure del recupero, del resto, potrebbe estendersi anche a professionisti ed imprese; senza scordare la potenziale rilevanza penale connessa al disconoscimento dell’agevolazione.
Avendo riguardo alle previsioni normative di carattere penale (che potrebbero interessare gli indebiti utilizzi in compensazione di crediti generati da interventi di natura edilizia), mette conto segnalare come – a fronte dell’eventuale compimento di attestazioni mendaci da parte dei tecnici e dei professionisti coinvolti (si pensi, ad esempio all’APE, alle asseverazioni, al visto di conformità, alla CILA, etc.) – potrebbero essere contestate le diverse fattispecie di falsità ideologica; quelle previste, in materia di dichiarazioni mendaci in atto di notorietà; o le gravi ipotesi di truffa e di indebita percezione di erogazioni pubbliche.
Parimenti, potrebbe riscontrarsi anche una (potenziale) rilevanza penale – tributaria delle contestazioni dell’Agenzia delle Entrate; con riguardo a quanto sancito dagli articoli 2, 3 e 10 del D. Lgs. n. 74/2000.
Inoltre, nell’ottica del rischio di insorgenza di una responsabilità ex D. Lgs. n. 231/2001, ove si riscontrasse la commissione di uno dei reati summenzionati; se questo integrasse la figura del reato presupposto – soddisfatti gli ulteriori requisiti previsti ex lege per l’insorgenza di tale responsabilità – potrebbe trovare giustificazione un ulteriore profilo contenzioso.
Chi abbia usufruito del “Superbonus 110%” potrebbe risultare destinatario di lettere di compliance, da parte dell’Agenzia delle Entrate, in materia catastale.
Ai fini del controllo fiscale, infatti, l’Agenzia delle Entrate realizzerà, mediante apposite banche dati, speciali liste selettive; ciò in relazione agli immobili che abbiano fruito delle “maxi” detrazioni edilizie.
Questo al fine di verificare che, a fronte dell’effettuazione dei lavori di cui al D.L. n. 34/2020, vi sia stata da parte del contribuente / beneficiario la corrispondente modifica della rendita catastale; con dichiarazione delle eventuali relative variazioni. Nel caso di irregolarità il Fisco, prima di procedere con l’azione accertativa (che condurrebbe all’adeguamento catastale) e le relative sanzioni, dovrà inviare una lettera di compliance; come tentativo di addivenire ad una definizione bonaria della questione con il contribuente.
Quest’ultimo, se d’accordo, dovrà accettare la contestazione; versando quanto richiesto dall’Ufficio.
– Il continuo mutamento della normativa del “Superbonus 110%” che, negli anni, ha caratterizzato questa disciplina; l’accavallarsi dei relativi documenti di prassi (i quali sovente, anziché chiarire, hanno complicato lo scenario); il noto aumento dei prezzi dei materiali; le restrizioni occorse alle cessioni dei crediti; l’aumento dei relativi costi di attualizzazione; nonché l’ambito di operatività estremamente “tecnico” (dove confluisce il delicatissimo know – how professionale di ingegneri, architetti e geometri): tutti questi fattori hanno contribuito, ciascheduno in misura differente, allo scoppio delle liti.
– Uno dei temi cruciali, relativamente alle “liti da Superbonus 110%”, è quello dell’impossibilità sopravvenuta; sovente addotta dagli appaltatori nei confronti dei committenti. L’impossibilità sopravvenuta si ricollega all’art. 1218 c.c. rubricato (“Responsabilità del debitore”); secondo il quale “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta e’ tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo e’ stato determinato da impossibilita’ della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
– Nell’ottica del “contenzioso da Superbonus 110%”, un ulteriore tema di assoluto rilievo è quello dell’eccessiva onerosità sopravvenuta. L’eccessiva onerosità sopravvenuta si ricollega, dal canto suo, agli art. 1467 c.c. e 1664 c.c.
Secondo l’art. 1467 c.c., nei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto. In questo caso, la parte contro cui è demandata la risoluzione del contratto, per evitarla, può offrire di modificare equamente le condizioni del contratto. Secondo l’art. 1664 c.c., invece, “Qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto, l’appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo. La revisione può essere accordata solo per quella differenza che eccede il decimo. Se nel corso dell’opera si manifestano difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che rendono notevolmente più onerosa la prestazione dell’appaltatore, questi ha diritto a un equo compenso”.
Mentre nell’art. 1467 c.c. si parla di avvenimenti straordinari ed imprevedibili; nell’art. 1664 c.c. (che riguarda specificamente gli appalti) il codice civile menziona esclusivamente le circostanze imprevedibili (come, ad esempio, nell’ambito in esame; dove la normativa del “Superbonus 110%” è stata modificata più di una ventina di volte, ed in relazione al quale si è registrato un inaspettato aumento dei prezzi, una difficoltà nel cedere i crediti alle banche, nonché l’aumento dei costi di attualizzazione).
La differenza è agevolmente spiegabile: mentre nella prima ipotesi si deve giungere ad una soluzione assai grave, quale è quella della risoluzione del contratto; nella seconda si dovrebbe giungere alla sola modificazione del prezzo.
Queste “liti” non si consumano esclusivamente tra condomìni, general contractor e/o imprese edili.
In alcuni casi, ad esempio, possono essere i tecnici coinvolti a tentare le vie legali per questioni attinenti alla retribuzione; mentre, in altre fattispecie, a bloccare i progetti possono contribuire ragioni differenti (come un mancato accordo tra i condomini).
Esiste, poi, un’altra tipologia di controversie; ovverosia, quelle nelle quali sono i proprietari di immobili “autonomi” a contrapporsi alle aziende che hanno avviato i cantieri.
In questo caso, uno dei problemi di più comune verificazione pare essere quello legato ai lavori iniziati e poi finiti in stallo; ad esempio, a causa di problemi legati alla cessione del credito.
Tra le altre, si sono peraltro verificate situazioni di proprietari che hanno anticipato soldi alle ditte; pagato i progetti per poi assistere alla mancata partenza del cantiere (con tutte le problematiche del caso, nell’ottica dell’ordinaria fruizione del “Superbonus 110%”, riversatesi su chi non aveva iniziato o finito i lavori in tempo).
Insomma, la complessità della normativa sul “Superbonus 110%” si sta trasformando in una sorta di “tutti contro tutti”; con l’insorgenza di numerose controversie tra proprietari, imprese appaltatrici e tecnici. Tra questi ultimi, possiamo rammentare geometri, architetti, ingegneri per citare alcune delle categorie professionali maggiormente interessate; coinvolte nelle rispettive vesti.
La Legge di Bilancio 2024 ha previsto (L. n. 213/2023, c.64) l’introduzione di nuove tasse per gli immobili; con particolare riguardo a quelli che hanno beneficiato dei lavori di efficientamento energetico da “Superbonus 110%” ( gli interventi agevolati di cui all’articolo 119 del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34).
Al proprietario che venderà l’immobile oggetto di intervento edilizio (purché non si tratti di “immobili acquisiti per successione e quelli che siano stati adibiti ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari per la maggior parte dei dieci anni antecedenti alla cessione o, qualora tra la data di acquisto o di costruzione e la cessione sia decorso un periodo inferiore a dieci anni, per la maggior parte di tale periodo”), infatti, si applicherà una tassazione del 26% sulla plusvalenza realizzata dalla vendita anzidetta; nel caso in cui la cessione a titolo oneroso avvenga prima del decorso di 10 anni dalla conclusione dei lavori (finanziati con tali “bonus edilizi”).
Ai fini della determinazione della base imponibile sulla quale calcolare la plusvalenza, i costi sostenuti dovrebbero:
a) dapprima, risultare indeducibili se la cessione avviene entro i primi cinque anni dall’ultimazione degli interventi agevolati (“qualora si sia fruito dell’incentivo nella misura del 110 per cento e siano state esercitate le opzioni di cui all’articolo 121, comma 1, lettere a) e b), del citato decreto-legge n. 34 del 2020”;
b) e poi (dal sesto anno), essere deducibili solo nella misura del 50%(alle stesse condizioni indicate al punto a)).