Rimborso delle addizionali provinciali sulle accise dell’energia elettrica: anni 2010/2011.

    Condivi con :

    La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 27099 del 23.10.2019, ha stabilito che il consumatore finale dell’energia elettrica, a cui siano state addebitate (ex art. 6 c. 3 D.L. n. 511/1988) le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica da parte del fornitore in relazione al biennio 2010-2011, può agire nei confronti di quest’ultimo con l’ordinaria azione di ripetizione di indebito; domandando ad esso (entro il termine di prescrizione decennale) la restituzione di quanto indebitamente corrisposto ed esperendo, in caso di suo diniego, le vie dell’ordinaria giustizia civile.

    La questione riguarda, pertanto, la possibilità / la modalità, per i consumatori finali eventualmente interessati, di agire stragiudizialmente (e, se del caso, giudizialmente) per ottenere il rimborso delle addizionali provinciali sull’energia elettrica corrisposte ai propri fornitori nel biennio 2010 – 2011.

    La Suprema Corte ha chiarito che gli strumenti per ottenerne la restituzione sarebbero (salvo situazioni eccezionali) quelli civilistici; allorquando il fornitore, una volta rimborsato il consumatore finale (a fronte della sopravvenienza di una sentenza definitiva del Giudice ordinario civile – Tribunale, Corte d’Appello, Cassazione) potrebbe e dovrebbe avanzare istanza di rimborso all’Amministrazione finanziaria; con eventuale e successivo incardinamento di un giudizio tributario in caso di diniego (il tutto nel rispetto della tempistiche decadenziali e prescrizionali).

    Originariamente, l’art. 6 del D.L. n. 511/1988 (oggi abrogato) aveva previsto l’istituzione di “una addizionale all’accisa sull’energia elettrica di cui al (…) testo unico delle accise, nelle misure di (…) c) euro 9,30 per mille kWh in favore delle province per qualsiasi uso effettuato in locali e luoghi diversi dalle abitazioni, per tutte le utenze, fino al limite massimo di 200.000 kWh di consumo al mese (…) le province possono incrementare la misura di cui al comma 1, lettera c), fino a euro 11,40 per mille kWh. Le addizionali di cui al comma 1 sono dovute dai soggetti obbligati di cui all’articolo 53 del testo unico delle accise, al momento della fornitura dell’energia elettrica ai consumatori finali ovvero, per l’energia elettrica prodotta o acquistata per uso proprio, al momento del suo consumo. Le addizionali sono liquidate e riscosse con le stesse modalità dell’accisa sull’energia elettrica”.

    Dal canto suo, il richiamato art. 53 del Testo Unico Accise (T.U.A., D. Lgs. n. 504/1995) al c. 1 prevedeva che “obbligati al pagamento dell’accisa sull’energia elettrica sono: a) i soggetti che procedono alla fatturazione dell’energia elettrica ai consumatori finali, di seguito indicati come venditori”.

    Successivamente, l’art. 2 del D. Lgs. n. 23/2011, c. 6, aveva previsto che “a decorrere dall’anno 2012 l’addizionale all’accisa sull’energia elettrica (…) cessa di essere applicata nelle regioni a statuto ordinario (…)”; ragion per la quale, nel prosieguo, il D.M. 30.12.2011 aveva stabilito l’ “aumento dell’accisa sull’energia elettrica a seguito della cessazione dell’applicazione dell’addizionale comunale all’accisa sull’energia elettrica nelle regioni a statuto ordinario”.

    Infine, il D. L. n. 16/2012, art. 4, c. 10, aveva previsto che “a decorrere dal 1° aprile 2012, al fine di coordinare le disposizioni tributarie nazionali applicate al consumo di energia elettrica con quanto disposto dall’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE del Consiglio, del 16 dicembre 2008 (…) l’articolo 6 del decreto-legge 28 novembre 1988, n. 511 (…) è abrogato”.

    Peraltro, la Suprema Corte, con sentenza n. 15198 del 4.6.2019 (poi ripresa dalla successiva sent. n. 27101 del 23.10.2019) aveva stabilito che “le addizionali alle accise sull’energia elettrica (…) non hanno finalità specifiche a termini dell’art. 1, par. 2, Direttiva 2008/118/CE aventi come finalità una mera

    esigenza di bilancio degli Enti locali. Ne consegue che il D.L. n. 511 del 1988, art. 6, comma 2, va disapplicato in ossequio al principio per cui l’interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte di Giustizia della UE è immediatamente applicabile nell’ordinamento interno ed impone al giudice nazionale di disapplicare le disposizioni di tale ordinamento che, sia pure all’esito di una corretta interpretazione, risultino in contrasto o incompatibili con essa (ex multis, Cass., Sez. V, 31 ottobre 2018, n. 27822; Cass., Sez. V, 10 agosto 2016, n. 16923). Le imposte addizionali per cui vi è controversia non sono, dunque, dovute (…)”.

    Tornando alla sentenza in esame, la Cassazione ha riconosciuto che, in materia di accise sull’energia elettrica, il rapporto d’imposta si svolge esclusivamente tra l’Amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono l’energia.

    Questi ultimi, essendo gli unici tenuti al pagamento dell’imposta, sono anche gli unici a poterne chiedere all’A.F. l’eventuale rimborso; difettando la legittimazione attiva dei consumatori finali a proporre direttamente istanza di rimborso nei confronti dell’A.F. (che non potrebbe darvi seguito).

    Secondo la ricostruzione operata dalla Suprema Corte, l’imposta è dovuta dai soggetti (passivi) che, in veste di fornitori, procurano direttamente il prodotto ai consumatori; mentre su questi ultimi l’onere corrispondente all’imposta viene traslato in virtù e nell’ambito di un fenomeno meramente economico.

    Ne consegue che “i due rapporti, quello fra fornitore ed amministrazione finanziaria e quello fra fornitore e consumatore, si pongono quindi su due piani diversi: il primo ha rilievo tributario, il secondo civilistico”.

    Come chiarito dalla Cassazione, il consumatore finale può esperire nei confronti del fornitore un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito (prevista dal nostro ordinamento giuridico); residuando a titolo eccezionale (ad esempio, a fronte della situazione di insolvenza del fornitore) l’ipotesi di un eventuale ricorso del consumatore finale all’istanza tributaria di rimborso, da avanzarsi direttamente verso l’Amministrazione finanziaria.

    In proposito, la Cassazione ha espressamente escluso la fondatezza della tesi che consentirebbe al consumatore finale di esperire la via tributaria dell’inoltro diretto, nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, dell’istanza di rimborso delle addizionali provinciali.

    Secondo la Cassazione, piuttosto, “il consumatore si trova in una posizione di vantaggio, poichè può fruire di un termine di prescrizione ordinario per l’azione civilistica di ripetizione dell’indebito, più ampio di quello di decadenza assegnato al soggetto passivo per il rimborso”.

    L’azione di rimborso nei confronti dell’A.F. spetterà invece al solo fornitore, una volta che sia passata in giudicato la sentenza “civile” ottenuta dal consumatore finale, entro i successivi novanta giorni.

    Alla luce di tutto quanto esposto nelle righe che precedono, pertanto, occorrerà monitorare con la dovuta attenzione l’evolversi degli scenari futuri che già si intravedono; stante la potenziale rilevanza (e la conseguente dirompenza), in termini economici, della questione oggetto di esame.

     

    Avvocato Davide TORCELLO

    Scarica gratuitamente l’articolo in formato PDF