

Newsletter n. 13 / Giugno 2021
a cura dello Studio Legale Tributario Torcello in collaborazione con Confindustria Chieti Pescara
Questa newsletter porta la firma dell’Avvocato Giovanna BRATTI e dell’Avvocato Davide TORCELLO
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La Corte di Cassazione, nella recente sentenza n. 23300/2021 dello scorso 15 giugno, ha escluso la responsabilità dell’Ente ex D. Lgs n. 231/2001 in assenza di vantaggio o interesse derivante dalla condotta delittuosa.
Negli scorsi giorni, il compimento del ventennale dall’introduzione del D. Lgs. n. 231/2001 ha rappresentato l’occasione per riflettere su un (doveroso) aggiornamento dei “modelli di impresa”.
Ciò al fine di prevenire (per quanto possibile) la commissione dei reati all’interno dell’ambito societario.
Un ripensamento che si è reso necessario anche alla luce delle ultime riforme; che hanno allargato il novero dei cd. “reati presupposto” anche agli illeciti penali tributari.
L’esigenza è quella di rendere effettiva la fase del cd. risk assessment; consistente nell’individuazione e nella valutazione dei rischi che potrebbero incontrarsi nei procedimenti aziendali. Ciò al fine di indicare i comportamenti “societari pericolosi”; dai quali può discendere la responsabilità dell’impresa.
In tale ottica, risulta necessario delimitare il confine tra la responsabilità dei soci autori del reato e quella della società.
Non di rado, infatti, si assiste nella prassi ad una vera e propria commistione degli interessi personali degli amministratori (o soci), quali autori “materiali” del reato, e di quelli dell’ente; tale da condurre le condotte dei medesimi a sovrapporsi ed a concorrere fra di loro.
In particolare, secondo l’art. 5 del D. Lgs. n. 231/2001, la responsabilità amministrativa della società sussiste laddove il fatto illecito sia stato commesso nell’interesse ovvero a vantaggio della medesima.
Ragionando a contrario, dunque, l’ente non risponde laddove la condotta criminosa non sia preordinata al perseguimento di un proprio (e specifico) beneficio economico.
In particolare, relativamente ai concetti di “interesse” e “vantaggio”, occorre precisare quanto segue.
1) L’interesse rappresenta un elemento soggettivo della condotta; consistente nell’intenzione dell’autore del reato di favorire l’ente. Si valorizza, così, il legame finalistico tra il reato e il risultato della condotta medesima. In tali ipotesi, si opera una valutazione ex ante dell’azione (od omissione) delittuosa. Ciò attraverso un’analisi “imprenditoriale” del reato: ovverosia, si verifica se il reato possa collocarsi all’interno di una determinata “politica aziendale”; preordinata al raggiungimento di determinati obiettivi (illeciti) per il tramite delle condotte poste in essere dai propri dipendenti e/o soci.
2) Il vantaggio, invece, si configura quale elemento oggettivo della condotta; riguardante i risultati effettivi derivanti dall’azione (od omissione) illecita. In tal caso, risulta necessaria una verifica ex post della condotta; al fine di comprendere se l’ente abbia tratto, concretamente, un beneficio dalla commissione del reato.
Ai fini della configurabilità della responsabilità in capo all’ente ex D. Lgs. n. 231/2001, basta la sussistenza di uno di tali elementi (come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità prevalente); essendo sufficiente che alla condotta delittuosa sia “collegato” – in senso favorevole alla società – un interesse o, in alternativa, un vantaggio economico.
Per esemplificare: occorre provare che l’ente abbia oggettivamente ottenuto, dalla consumazione del “reato presupposto”, un vantaggio; ciò anche nelle ipotesi in cui non sia stato possibile determinare ex ante l’effettivo interesse che avrebbe condotto alla conclusione dell’illecito.
Tali considerazioni risultano condivise dalla Corte di Cassazione nella recente sentenza n. 23300/2021 (pubblicata il 15.6 u.s.).
La predetta pronuncia ha ribadito il principio secondo cui la “responsabilità da reato” della società sussiste laddove l’interesse della persona fisica, autrice del “reato presupposto”, coincida (anche parzialmente) con quello della società nel cui ambito di operatività è stato perpetrato l’illecito.
Tale responsabilità, inoltre, si configura anche nell’ipotesi in cui l’autore del reato, perseguendo un proprio autonomo interesse, finisca poi per realizzare oggettivamente anche quello dell’ente stesso.
In particolare, nella fattispecie concreta oggetto della predetta sentenza di legittimità, è stata ravvisata la responsabilità dell’ente per il reato di truffa ai danni dello Stato. Ciò in quanto la società aveva utilizzato i proventi derivanti da un finanziamento statale in conto capitale (ottenuto pur in assenza dei presupposti richiesti dalla legge) al fine di implementare la propria attività mediante la costruzione di un impianto industriale.
L’ente non avrebbe risposto di tale reato a condizione che si fosse raggiunta la prova circa la confluenza delle somme finanziate sui conti correnti dei soli soci; senza che fosse stato possibile, pertanto, acclarare la maturazione di alcun vantaggio in capo alla società medesima.
Il “limite negativo” della responsabilità amministrativa della società di cui al D.lgs. n. 231/2001 è rappresentato, dunque, dall’assenza assoluta di interesse o vantaggio economico derivante, in favore dell’ente, dalla condotta delittuosa (posta in essere all’interno dell’ambito societario).
Il profitto del reato ad esclusivo appannaggio dell’autore “fisico” dell’illecito preclude l’applicazione delle sanzioni di cui al D. Lgs. n. 231/2001.
Avv. Giovanna BRATTI
Avv. Davide TORCELLO
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