In tema di fiscalità internazionale, cittadini esteri o società estere che intendono trasferirsi e/o operare nel territorio italiano (o viceversa), sollevano spesso dubbi e perplessità su quale sia il regime tributario ai medesimi applicabile; nonché su quali siano gli adempimenti tributari richiesti dallo Stato nel quale avviene il trasferimento.
Ciò in quanto:
In linea generale, in molti Stati europei (fra cui l’Italia) vige il cd. World Wide Taxation Principle (principio della tassazione mondiale); in base al quale i redditi prodotti da un soggetto residente in un determinato Stato sono soggetti a tassazione in quest’ultimo Stato (indipendentemente dallo Stato in cui i redditi in questione siano prodotti). Ciò fatta salva l’applicazione di convenzioni internazionali / regimi legislativi speciali vigenti sul punto.
Ai fini dell’individuazione del regime di tassazione applicabile, occorre far riferimento ai concetti di:
Ciò al fine di comprendere, ai fini fiscali, il “criterio di collegamento” fra il soggetto (persona fisica / persona giuridica) ed il territorio italiano.
In attuazione della Legge delega di riforma fiscale (L. n. 111/2023), è stato emanato il D. Lgs n. 209/2023; al fine di procedere all’adeguamento del sistema normativo tributario nazionale ai livelli di tutela previsti dall’ordinamento eurounitario (anche alla luce dell’evoluzione della Corte di Giustizia UE in materia tributaria), nonché al recepimento della Direttiva UE n. 2022/2523 del Consiglio Europeo (relativa alla definizione di un livello di imposizione fiscale minimo globale per i gruppi multinazionali di imprese e i gruppi nazionali su larga scala nell’Unione Europea).
In via di estrema sintesi, alcuni dei temi toccati dalla riforma risultano i seguenti:
Ai fini dell’applicabilità delle imposte sui redditi delle società nel territorio italiano, occorre fare riferimento all’art. 73 del D.P.R. n. 917/1986 (cd. TUIR); secondo il quale “ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale”.
In particolare, nella prassi accade che le società estere operino nel territorio italiano attraverso diverse “modalità imprenditoriali”; così come di seguito brevemente illustrate.
Quanto sopra illustrato rappresenta una panoramica generale; da parametrare alle circostanze del caso concreto, nonché alle eventuali previsioni contenute nelle Convenzioni internazionali contro il fenomeno della doppia imposizione stipulata fra l’Italia e lo Stato estero di riferimento.
Fermo restando quanto sopra illustrato; in merito alle modalità operative di una società italiana all’estero, occorre prima individuare quale sia il Paese estero nel quale la società italiana intenda estendere la propria attività imprenditoriale. Ciò al fine di delineare i relativi adempimenti burocratici / amministrativi ed il relativo regime di tassazione; coordinando tale disamina con le disposizioni eventualmente previste dalla Convenzione internazionale contro la doppia imposizione, stipulata fra l’Italia e il Paese estero di riferimento.
In quest’ottica, risulta di fondamentale importanza operare un cenno al fenomeno della cd. esterovestizione; secondo il quale una società simula di essere residente all’estero con lo scopo di evitare l’assoggettamento al regime tributario italiano. A tal fine, occorre verificare che il trasferimento all’estero sia reale e concreto; potendosi parlare di esterovestizione al ricorrere di due presupposti: a) la natura fittizia della localizzazione estera della società: l’attività economica non è fattivamente esercitata nel Paese estero, in considerazione del luogo in cui vengono prese le decisioni societarie strategiche nonché del luogo il cui si svolge in maniera prevalente l’attività imprenditoriale; b) l’indebito risparmio d’imposta connesso a tale fittizio trasferimento (consistente nel sottrarsi al Fisco italiano).
In presenza di tali requisiti, il Fisco italiano presume che la residenza fiscale della società estera sia riconducibile in Italia; riprendendo a tassazione tutti i redditi dalla medesima prodotti, secondo quanto previsto dall’ordinamento tributario nazionale. Ciò rimanendo salva la prova contraria a carico della società contribuente; la quale dovrà dimostrare la propria residenza all’estero e la sussistenza di fondate ragioni imprenditoriali e di insediamenti produttivi e/o commerciali all’estero.
Secondo l’art. 2 del TUIR “le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno la residenza ai sensi del codice civile o il domicilio nel territorio dello Stato ovvero sono ivi presenti. (…). Salvo prova contraria, si presumono altresì residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente”.
Il cittadino italiano che intende trasferire per un periodo superiore a 12 mesi la propria residenza / dimora abituale all’estero deve iscriversi all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (A.I.R.E.); registro istituito dalla L. n. 470/1980 e gestito dai Comuni italiani (sulla base delle informazioni provenienti dalle Rappresentanze consolari all’estero). Ciò ad eccezione di determinate ipotesi (normativamente previste); che escludono l’obbligo di iscrizione a tale registro.
L’art. 3 del D.P.R. n. 917/1986 specifica sul punto che “l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato”.
Tale regime generale deve sempre essere coordinato con:
Ferma restando la definizione di residenza fiscale di cui all’art. 2 del TUIR, la persona fisica che intende trasferire la propria residenza fiscale in Italia sarà soggetta a tutti gli adempimenti amministrativi e fiscali richiesti dalla normativa nazionale italiana (a titolo esemplificativo: iscrizione nell’anagrafe del Comune italiano in cui verrà fissata la residenza; presentazione della dichiarazione dei redditi; ecc…). Sul punto l’art. 3 del TUIR “l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’articolo 10 (…)”. Anche in questo caso, tale disciplina generale andrà coordinata con le disposizioni di cui alla Convenzione internazionale contro le doppie imposizioni fra l’Italia ed il Paese estero di riferimento; nonché alle circostanze del caso concreto.