Evasione fiscale, le nuove norme, le sanzioni e i confini della privacy

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    La “lotta all’evasione” si presenta come uno dei pilastri della nuova manovra fiscale; la quale ha trovato una prima attuazione tramite il Decreto Legge n. 124/2019, pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 26 ottobre 2019.

    Attraverso tale intervento normativo, infatti, si è provveduto ad apportare rilevanti modifiche rispetto ad alcuni dei reati tributari previsti dal D.Lgs n. 74/2000; le quali si concretizzano, in particolar modo, in un forte inasprimento del quadro sanzionatorio di riferimento.

    Si assiste, da un lato, ad un innalzamento delle pene detentive (sia sotto il profilo dei minimi che dei massimi edittali) ed alla soppressione di cause di non punibilità; dall’altro, ad un’estensione dell’area del “penalmente rilevante”, ciò attraverso un abbassamento della soglia di punibilità del fatto.

    L’art. 39, contenuto nel “Decreto fiscale” sopra richiamato, definisce dal canto suo i termini e le modalità di integrazione e/o modifica delle fattispecie delittuose tributarie.

    A titolo esemplificativo, per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall’art. 2 del D. Lgs n. 74/2000, la pena detentiva subisce un notevole incremento sia nel minimo (da un anno e sei mesi a quattro anni) che nel massimo edittale (da sei ad otto anni); a ciò aggiungendo, tuttavia, una “mitigazione” della pena (corrispondente, invero, alle soglie originariamente previste) nelle ipotesi in cui l’importo degli elementi fittizi evasi sia inferiore a 100.000 Euro.

    Per ciò che concerne le altre norme incriminatrici tributarie, il legislatore è intervenuto sostanzialmente in un incremento dei limiti edittali della pena (giungendo, in talune ipotesi, anche al doppio della soglia prevista nel testo ante riforma).

    Il contrasto al fenomeno dell’evasione fiscale sembra emergere anche dal Disegno di Legge presentato al Senato dal Ministro dell’Economia e delle Finanze il 2 novembre 2019; relativo al “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022”.

    In tale prospettiva, occorre leggere il disposto dell’art. 86 contenuto nel predetto Disegno di Legge; il quale prevede la possibilità, per l’Amministrazione finanziaria, di attuare “controlli anonimi” sfruttando le informazioni dei contribuenti presenti nelle banche dati a cui la medesima ha accesso.

    In particolare, previo esperimento della cd. “pseudonimizzazione” dei dati personali (consistente in una “tecnica” di conservazione dei dati in una forma tale da precludere l’identificazione di un soggetto se non mediante “informazioni aggiuntive”; tale meccanismo è già previsto dal D.L. n. 201/2011, convertito nella L. n. 214/2011), è conferita all’Agenzia delle Entrate la facoltà di avvalersi “delle tecnologie, delle elaborazioni e delle interconnessioni con le altre banche dati di cui dispone”; ciò al dichiarato obiettivo di individuare i fattori di rischio utili ad evidenziare “contribuenti e situazioni” da sottoporre a controllo ed incentivare, all’uopo, l’adempimento spontaneo delle obbligazioni tributarie. Tale potere è attribuito, altresì, alla Guardia di Finanza.

    La disposizione in esame ha suscitato dubbi in merito alla propria compatibilità rispetto alla normativa privacy, così come da ultimo integrata dalla disciplina eurounitaria (contenuta nel Regolamento UE n. 279/2016 – G.D.P.R.).

    Secondo quanto affermato nella memoria presentata alla Commissione Bilancio il 12 novembre scorso dal Presidente dell’Autorità Garante per la Privacy, Antonello Soro, risulterebbero dei profili di frizione con la disciplina prevista per il trattamento dei dati personali.

    Il riferimento all’art. 23 G.D.P.R. (contenuto nel predetto art. 86), in tema di limitazione dei diritti dell’interessato, desterebbe alcuni dubbi.

    Ciò in quanto non appaiono delineati con precisione gli interessi pubblici in capo all’Amministrazione finanziaria, i quali consentirebbero di escludere o delimitare l’esercizio dei diritti attribuiti al titolare del trattamento dei dati personali.

    Sotto tale profilo, infatti, non potrebbe astrattamente invocarsi una maggiore efficienza dell’azione di prevenzione posta in essere dall’Ufficio.

    La limitazione dei diritti riconosciuti al contribuente, in tema di protezione dei dati, non può essere “astratta”; ma deve necessariamente corrispondere ad una concreta utilità rispetto all’attività accertativa posta in essere dall’Agenzia delle Entrate.

    Risulta doveroso ravvisare, dunque, un “pregiudizio effettivo e concreto” per l’Amministrazione finanziaria tale da legittimare una deroga alle disposizioni contenute nel Codice Privacy.

    Il panorama normativo appare, dunque, ancora incerto e non compiutamente definito.

    Non ci resta, pertanto, che attendere gli emendamenti e/o le integrazioni del caso; che dovrebbero a breve interessare il Decreto Fiscale in sede di conversione.

    Come ogni dicembre, infatti, solo l’attenta disamina della “versione finale” del DF convertito potrà orientare gli operatori ed i contribuenti in relazione a tali delicatissimi temi.

    Avv. Giovanna BRATTI

    Avv. Davide TORCELLO

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