Newsletter, n. 08 / Aprile 2021, di Confindustria CH-PE a cura dello Studio Legale Tributario Torcello.
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In tema di reati tributari, l’attenzione è spesso rivolta ad individuare il “punto di rottura” nella condotta del contribuente; ovverosia, il limite oltrepassato il quale un inadempimento fiscale può assumere connotati penali.
Le omissioni e le irregolarità compiute in ambito dichiarativo – fiscale possono comportare, in presenza di determinati presupposti (tassativamente previsti), una responsabilità penale in capo al contribuente.
In tale prospettiva, occorre segnalare due recenti interventi della Corte Suprema di Cassazione; la quale, sposando un orientamento maggiormente garantista, si è pronunciata in tema di reati tributari.
In entrambe le occasioni la Cassazione, in un’ottica di favor rei, ha cercato di arginare la rilevanza penale di determinate condotte poste in essere dal contribuente; “confinandole” nell’ambito tributario.
Ciò, da un lato, attraverso un’interpretazione estensiva dei requisiti di accesso all’istituto del patteggiamento; dall’altro, mediante l’individuazione rigorosa della “soglia di punibilità” del fatto.
Con riferimento al primo aspetto, occorre richiamare la sentenza n. 11620/2021 del 26 marzo u.s.; per il tramite della quale i Giudici di legittimità hanno “allargato le maglie” in riferimento all’applicazione dell’istituto del patteggiamento, previsto dall’art. 444 c.p.p..
Anche con riferimento alle ipotesi di infedele ed omessa dichiarazione (di cui agli artt. 4 e 5 del D. Lgs. n. 74/2000), la Suprema Corte ha affermato che il preventivo pagamento del debito tributario non costituisce una condizione necessaria ai fini dell’accesso al rito alternativo.
Ciò sulla scorta di una lettura “garantista” della disposizione di cui all’art. 13 bis del D. Lgs. n. 74/2000; il quale, letteralmente, parrebbe precludere per tutti gli illeciti tributari il beneficio del patteggiamento in assenza della preventiva estinzione, da parte dell’imputato, del proprio debito erariale (comprensivo di sanzioni amministrative e interessi).
La pronuncia della Cassazione qui in esame, invece, fa leva sul richiamo effettuato, nel predetto art. 13 bis, alle ipotesi di cui all’art. 13, cc. 1 e 2, del medesimo D. Lgs. n. 74/2000; secondo cui il pagamento del debito tributario costituisce una causa di non punibilità.
Ciò nel caso in cui il versamento avvenga in seguito al ravvedimento operoso (o alla presentazione della dichiarazione omessa nel periodo di imposta successivo a quello di competenza) da parte del contribuente; senza che quest’ultimo abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali svolti a proprio carico.
Nel solco già tracciato dalla precedente giurisprudenza di legittimità (Cass. sentt. nn. 38684/2018 e 10800/2019), nonché dalla Relazione n. 3/2020 esplicativa dell’ultima riforma penale tributaria, la Suprema Corte ha dunque affermato quanto segue.
Per i reati di infedele / omessa dichiarazione, il pagamento della pretesa erariale non potrebbe rappresentare una scriminante e fungere (al tempo stesso e per le medesime fattispecie) anche da presupposto di legittimità per il patteggiamento (in caso di estinzione del carico tributario, non si potrebbe “patteggiare” una fattispecie non punibile).
L’imputato, dunque, ha davanti a sé una duplice alternativa:
procedere al pagamento del debito (secondo i termini e le condizioni sopra elencate) ed azionare la “causa di non punibilità”;
ovvero, non estinguere il debito e preservare la possibilità di richiedere (ed ottenere) il patteggiamento.
Con riferimento al secondo aspetto, è bene segnalare la pronuncia n. 11986/2021 (depositata il 20 marzo 2021); nella quale la Suprema Corte di Cassazione, in relazione ad una fattispecie di autoriciclaggio, si è espressa a proposito della “soglia di punibilità” del fatto quale elemento costitutivo del reato.
La soglia di punibilità, infatti, si traduce nella definizione quantitativa e qualitativa del “penalmente rilevante”. Secondo la ricostruzione dei Giudici di legittimità, si tratta di una “quota di rilevanza quantitativa e/o qualitativa del fatto tipico”.
Il mancato superamento della soglia numerica fissata dal Legislatore, dunque, corrisponde all’assenza di volontà, da parte di quest’ultimo, di punire determinate condotte poste in essere dal contribuente (il quale, eventualmente, potrà rispondere per i medesimi fatti in ambito civile; tributario o amministrativo).
La condotta “sotto soglia” non è ritenuta idonea a pregiudicare il bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice (così valorizzando il principio di offensività); consistente, nel caso di specie di cui si ragiona, nella salvaguardia di interessi patrimoniali erariali.
La Corte di Cassazione ha quindi rilevato che l’insussistenza di un fatto penalmente rilevante (stante la mancata prova circa il superamento della soglia di punibilità) preclude la configurabilità del reato presupposto (quello di evasione); nonché, conseguentemente, del reato di autoriciclaggio. Con ciò determinando, in favore dell’autore, un’assoluzione con la formula “il fatto non sussiste”.
Avv. Giovanna BRATTI Avv. Davide TORCELLO
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