Articolo pubblicato su Il Centro del 25 Febbraio 2021, pagina “Abruzzo Economia”, a cura dello Studio Legale Tributario Torcello.
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La questione che, da alcuni mesi, agita il sonno dei fornitori di energia elettrica (della quale possiamo ora iniziare a scorgere i primi risvolti “giudiziali”) può brevemente riassumersi come segue.
Il bailamme era sorto con la pronuncia della sentenza n. 27099/2019 della Corte Suprema di Cassazione.
Questa aveva stabilito che il consumatore finale dell’energia elettrica, al quale fossero stati addebitati (da parte del proprio fornitore ed in relazione al biennio 2010-2011) importi a titolo di addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, poteva agire nei confronti dell’anzidetto fornitore; ciò tramite il ricorso all’ordinaria azione di ripetizione di indebito.
Il consumatore finale, pertanto, avrebbe dovuto domandare al proprio fornitore la restituzione di quanto ad esso indebitamente corrisposto, a tale titolo, in relazione al biennio di interesse; richiesta da avanzarsi, innanzitutto, in via stragiudiziale ed entro il termine di prescrizione decennale.
In caso di diniego da parte del fornitore, l’utente finale avrebbe poi potuto ricorrere all’ordinaria giustizia civile (e non, invece, a quella tributaria).
La Suprema Corte aveva anche chiarito che, solo nel caso in cui detta azione si fosse eventualmente rivelata impossibile (o, comunque, eccessivamente difficile) alla luce della situazione del fornitore (ad esempio, ove fallito), il consumatore finale avrebbe potuto domandare – in via eccezionale – il rimborso direttamente nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.
A fronte di situazioni “ordinarie”, pertanto, sarebbe risultata preclusa al consumatore finale la proposizione di un’istanza di rimborso direttamente nei confronti dell’Amministrazione finanziaria; nonché l’eventuale successivo ricorso alle vie della giustizia tributaria in caso di diniego (essendo legittimato, in tal senso, solo ed esclusivamente il fornitore; non il consumatore finale).
Il fornitore, una volta rimborsato il consumatore finale (a fronte della sopravvenienza di una sentenza definitiva del Giudice ordinario civile), avrebbe a sua volta potuto e dovuto avanzare istanza di rimborso all’Amministrazione finanziaria; con eventuale e successivo incardinamento di un giudizio tributario in caso di diniego (il tutto, ovviamente, nel rispetto delle relative tempistiche decadenziali e prescrizionali).
E’ chiaro che tale situazione abbia finito con l’interessare direttamente quegli operatori economici che, nel biennio 2010 – 2011, avevano sottoscritto contratti di fornitura di energia elettrica; beneficiando delle relative erogazioni e provvedendo a saldare le rispettive fatture (comprensive, ovviamente, degli importi a titolo di addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica “incriminati”).
Nel 2012, infatti, era stato previsto dal D. L. n. 16/2012, art. 4, c. 10 che “a decorrere dal 1° aprile 2012, al fine di coordinare le disposizioni tributarie nazionali applicate al consumo di energia elettrica con quanto disposto dall’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE del Consiglio, del 16 dicembre 2008 (…) l’articolo 6 del decreto-legge 28 novembre 1988, n. 511 (istitutivo della nota addizionale) è abrogato”.
L’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica era stata dunque abrogata, in quanto incompatibile con la normativa comunitaria (tra cui la Direttiva 2008/118/CE); così come rilevato nel 2011 dalla stessa Commissione Europea.
Siffatta incompatibilità era poi stata confermata anche dalla Cassazione (sentenze nn. 27099/2019 e 27101/2019); la quale, stabilita l’illegittimità dell’addizionale di cui si tratta, aveva riconosciuto il diritto all’ottenimento del rimborso della stessa in favore degli utenti finali che l’avessero in precedenza corrisposta ai propri fornitori.
In questi ultimi mesi, dunque, si è assistito di sovente al fallimento dei tentativi stragiudiziali di “recupero” di tali somme; operati da parte dei clienti finali, nei confronti dei fornitori, tanto tramite l’invio di apposite missive, quanto attraverso il ricorso ad appositi procedimenti di conciliazione.
Una volta approdati innanzi al Tribunale, le tesi dei clienti finali hanno finito col concentrarsi sul diritto di questi ultimi ad ottenere la ripetizione, da parte dei fornitori, di quanto indebitamente pagato (ciò alla luce dell’art. 4 c. 10. del D. L. n. 16/2012 e dell’art. 1 par. 2 della Direttiva 2008/118/CE del Consiglio del 16.12.2008).
I fornitori, dal canto loro, hanno puntato spesso e volentieri sulla non configurabilità dell’accisa addizionale provinciale come un’ “altra imposta indiretta” rispetto all’accisa ordinaria; sull’esclusione della disapplicazione della normativa domestica sul tema; sul principio di esclusione degli “effetti orizzontali” delle direttive eurounitarie; sulla mancanza di effetti extraprocessuali delle sentenze della CGUE; sull’intangibilità delle situazioni giuridiche oramai ritenute definite.
Non resta, a questo punto, che monitorare l’evolversi delle cause già in essere; in attesa di scoprire quale sarà la posizione assunta in proposito di vari Tribunali italiani interessati.
Avv. Giovanna BRATTI Avv. Davide TORCELLO
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